La memoria corta di certi valutatori

Clarin_logo [13 settembre 2014]

Leggo sul Clarin di Buenos Aires un interessante richiamo alla varietà nel tempo e nello spazio delle soluzioni per esprimere giudizi sui livelli di profitto degli allievi (No sólo del 1 al 10: cómo cambiaron las notas con el tiempo). Si va, in Argentina,  dalla scala quasi naturalistica (per abitudine e perché ha fatto linguaggio) da 1 a 10 alla formulazione di apprezzamenti solo verbali, a scale di 100 punti (peraltro in uso per un periodo limitato). In altri paesi si usano aggettivi, lettere, scale numeriche a 5 posizioni e via dettagliando. In ogni caso, alle origini delle  diverse scale c’era la convinzione che la gli effetti dell’educazione potessero essere misurati. Non ne è convinto Pablo Pineau, dell’Università di Buenos Aires, che collega i modi di praticare la valutazione a diversi momenti dello sviluppo del sistema scolastico. Sono interessanti alcuni tentativi di adattare lo strumentario valutativo alle esigenze di individualizzazione dell’apprendimento: le annotazioni possono essere compiute, se necessario, su più caselle, per prendere atto degli sviluppi intervenuti anche dopo la chiusura formale di un certo periodo di studio. In tutto ciò non c’è molto di nuovo, ma è importante che i mezzi di comunicazione ribadiscano che ogni scelta educativa è soggetta a evoluzione attraverso il tempo. In breve, deve essere contrastata la naturalizzazione dei repertori interpretativi e strumentali correnti. Ed è anche importante conoscere la varietà delle soluzioni che nel tempo si sono succedute per evitare, come accade anche troppo spesso, che qualche scopritore dell’acqua calda ci presenti come novità cose ben note, ma che per qualche ragione siano state accantonate.

È uscito il fascicolo 1-2014 di Cadmo

Il fascicolo 1-2014 di Cadmo. An International Journal of Educational Research considera vari aspetti della ricerca valutativa internazionale, come appare nella prima e nella quarta pagina della copertina. Cadmo è una rivista certificata dai due maggiori istituti internazionali di analisi della letteratura scientifica, ISI e Scopus. È inoltre inserita nella fascia A delle pubblicazioni periodiche dall’Aeres (l’Agenzia francese per la valutazione della ricerca e dell’insegnamento superiore).

Cadmo 2014-1_Pagina_1Sommario

Un giardino in ogni scuola

È ciò che ha stabilito lo stato della California. Le scuole (non solo in California) hanno mostrato di condividere questa indicazione e hanno  creato una rete per lo scambio delle esperienze (http://web3.cas.usf.edu/tbsg/benefitsofschoolgardening.aspx). Nel sito si trovano descritti i principali benefici che gli allievi e le scuole possono trarre dalla pratica del giardinaggio. In particolare, gli allievi

– hanno la possibilità di compiere una grande varietà di esperienze operative, di accrescere le conoscenze sia nel campo delle scienze della natura e della matematica, sia in quello delle scienze sociali, del linguaggio e delle arti;

– sono posti o in condizione di ricostituire un rapporto positivo con la natura, spesso profondamente alterato dalle condizioni della vita contemporanea, accrescendo nel contempo la consapevolezza delle relazioni che collegano le loro condizioni di vita con le caratteristiche dell’ambiente;

– sono condotti a riscoprire stili di vita e abitudini alimentari progressivamente abbandonati per effetto del martellamento pubblicitario, con conseguenze negative sullo sviluppo fisico e sulla salute (si pensi, per esempio, che in Florida un terzo dei ragazzi fra i 10 e i 17 anni sono sovrappeso).

I principali vantaggi per le scuole sono:

– si possono programmare attività che non potrebbero essere svolte nelle classi;

– cresce la motivazione degli allievi, ed è importante che ciò avvenga anche per quanti manifestano deficit di attenzione;

– gli insegnanti hanno la possibilità di arricchire il loro profilo professionale;

– le pratiche per la coltivazione di orti e giardini possono essere alla base della ricostruzione storica delle condizioni di vita delle comunità;

– il giardino può essere all’origine di dinamiche di tipo identitario (school pride).

Fa piacere leggere le considerazioni sviluppate nel sito. In Europa, dovremmo ricordare almeno un paio di importanti indicazioni nella direzione descritta:

– secondo J. Locke, il giardinaggio è una delle attività qualificanti per l’educazione del gentiluomo;

– nell’Emilio, Rousseau dà grande risalto alla pratica dell’orticoltura.

Riflessione finale: siamo sommersi dalle analisi, dalle critiche e dai suggerimenti di legioni di tablerondisti. Perché non tornare a riflettere sui classici e sulle esperienze reali condotte nelle scuole?

 

Quando la scuola non è solo una questione di cassa

 

Per quel che si può capire leggendo la stampa francese, il nuovo ministro per l’Educazione nazionale, Benoît Hamon, ha la ferma intenzione di procedere nella linea tracciata dal suo predecessore, Vincent Peillon. Da subito ha posto mano alla realizzazione dei réseaux d’éducation prioritaires (detti anche super-zep). Le scuole comprese in tali reti saranno caratterizzate dalle presenza di insegnanti aggiuntivi, il cui compito sarà di identificare i bisogni degli allievi e di accompagnarli nel loro percorso di apprendimento.

Il criterio al quale si riferisce l’insieme del programma di potenziamento dell’istruzione pubblica francese è quello di assicurare a tutti l’acquisizione di un livello elevato di capacità nei settori che da sempre caratterizzano il ruolo della scuola di base, e cioè leggere, scrivere e far di conto. Si capisce che certe linee programmatiche intendono reagire a derive involutive che si manifestano a livello non solo scolastico, ma più in generale a quello sociale: l’azione di contrasto a tali derive passa attraverso un deciso miglioramento delle competenze linguistiche e un potenziamento delle pratiche di scrittura.

Bambini che non giocano

Il 30 marzo ho tratto dal sito del New York Times un interessante servizio attorno alla scuola in Cina. Liqing Tao, Margaret Berci e Waine He hanno tracciato una sintesi efficace delle implicazioni sociali dell’educazione, partendo dal 605 d. C. (dinastia Sui) per arrivare ai tempi nostri passando attraverso le dinastie Tang, Song e Qing. La costante dell’educazione formale in Cina è stata rappresentata dalla funzione di ascensore sociale che essa ha esercitato (“Education as a Social Ladder”). Malgrado questa lunga tradizione, e nonostante il ruolo che all’educazione è riconosciuto nel sistema politico-sociale cinese, fruire di un periodo consistente di educazione sequenziale è ancora una condizione riservata a minoranze ristrette. I dispositivi di selezione degli allievi sono molto rigidi e trovano generalmente consenso nei genitori, che aspirano a elevarsi socialmente attraverso il successo scolastico dei figli. Quel che impressiona è che per non essere precocemente sospinti ai margini del sistema educativo i bambini sono costretti a modi di vita lontanissimi da quelli che siamo abituati a considerare necessari per uno sviluppo equilibrato: in particolare, nella loro esperienza è del tutto marginale la dimensione ludica.

Undici domande al Congresso degli Stati Uniti

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Riprendo dal sito del Washington Post la serie di undici domande che il Network for Public Education ha rivolto alla Commissione competente per l’educazione del Congresso degli Stati Uniti. Quando dubbi non troppo diversi circa usi disinvolti e approssimativi dello strumentario per la valutazione sono stati avanzati in Italia, si è avuta una dura reazione da parte dei paladini (spesso improvvisati) della rilevazione tramite prove strutturate dei dati di sistema. Ciò è avvenuto in particolare tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, quando era al lavoro la Commissione incaricata di esaminare le candidature alla presidenza dell’Invalsi per definire una rosa di idonei, tra i quali il Ministro per l’Istruzione avrebbe scelto.  Mostrando di non saper distinguere tra i diversi contesti nei quali si rilevano dati sull’apprendimento, economisti, sociologi, politici, opinionisti si sono affannati a tacciare di conservatorismo chiunque non mostrasse lo stesso indifferenziato entusiasmo docimologico, anche se, per avventura, chi formulava riserve aveva con la teoria e le procedure della valutazione una consuetudine certamente estranea a tanti solerti sostenitori. È opportuno, quindi, riflettere sulle domande rivolte al Congresso: che si tratti di un concentrato degli argomenti del conservatorismo educativo americano?

11 key questions on standardized testing for Congress to answer 

  1. Do the tests promote skills our children and our economy need? 
  2. What is the purpose of these tests? 
  3. How good are the tests? 
  4. Are tests being given to children who are too young? 
  5. Are tests culturally biased? 
  6. Are tests harmful to students with disabilities? 
  7. How has the frequency and quantity of testing increased?
  8. Does testing harm teaching? 
  9. How much money does it cost?
  10. Are there conflicts of interest in testing policies? 
  11. Was it legal for the U.S. Department of Education to fund two testing consortia for the Common Core State Standards? 

In vari casi, dalla formulazione della domanda si capisce anche quale sia stata la preoccupazione che ha spinto a formularla. Chi voglia saperne di più può consultare la pagina

Francia: un disegno di sviluppo per la scuola

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C’è in Francia un laboratorio d’idee, una think tank, che si propone di contribuire con le sue proposte a promuovere l’innovazione in vari settori della vita sociale. Terra Nova (questo è il nome del laboratorio) è una fondazione indipendente, anche se politicamente vicina al partito socialista. Il 6 marzo Terra Nova ha diffuso un documento di politica scolastica molto impegnativo, che potrebbe rappresentare la base per le decisioni che saranno assunte in Francia al fine di migliorare la qualità dell’educazione pubblica e assicurare una reale uguaglianza delle opportunità fra gli allievi. Il  documento è disponibile in internet, alla pagina http://www.tnova.fr/sites/default/files/06032014%20-%20Ecole%20commune.pdf.

Il documento contiene spunti di estremo interesse, anche per un percorso di revisione autocritica della scuola italiana. Premesso che in Francia le riforme della seconda metà del Novecento hanno avuto l’effetto di creare una école oligarchique de masse, gli  autori del rapporto hanno cercato di stimare i costi degli insuccessi nell’apprendimento: tali costi, secondo un calcolo prudenziale, ammontano a 24 miliardi di euro. A questa cifra si oppone il costo delle misure innovative proposte, circa 4 miliardi: in altre parole, lo spreco reale, nel sistema educativo, deve essere individuato nel malfunzionamento del sistema, mentre gli investimenti di risolvono in un vantaggio. Un punto forte del rapporto è la distinzione tra la massification e la démocratisation: la prima è consistita nell’accesso generalizzato alla scuola secondaria ed è sostanzialmente riuscita, mentre non è riuscita la democratizzazione, che avrebbe supposto un’acquisizione generalizzata di saperi comuni necessari a tutti cittadini. Dal punto di vista italiano, hanno particolare rilievo le indicazioni che si riferiscono  alla continuità educativa fra l’école primarie e il college: è posta in rilievo la tripla rottura (cognitive, pédagogique et éducative) dalla quale ha origine larga parte dello svantaggio sociale.

Uscite dalle vostre torri…

Su The Sunday Times del 19 gennaio si poteva leggere che Nick Hurd, minister for civil society del Regno Unito, ha ammesso che lo stato potrebbe fare molto di più per favorire una migliore integrazione delle esperienze educative di cui fruiscono da un lato gli allievi delle scuole cosiddette independent, dall’altro il resto della popolazione. L’uomo politico non è certo sospettabile di simpatie bolsceviche, anzi è un ex allievo di Eton. Ciò non gli ha impedito di usare espressioni colorite per descrivere l’intervallo  che separa il sistema dell’educazione pubblica da quello privato (o, appunto, independent). Chi è educato nei silos privati deve potersi confrontare con allievi di origini e ambienti diversi. Riflettano gli estimatori del sistema educativo inglese e vorrebbero riprenderne le pratiche valutative: in realtà, non si tratta di un solo sistema educativo, ma di due, quello per la grande maggioranza della popolazione e quello per la fascia favorita. Non ci vuol molto per immaginare a chi siano dedicate le attenzioni ispettive e i tanti controlli che gli esperti nostrani vorrebbero veder attuati anche nelle nostre scuole.

Non solo in Francia…

Alcuni giorni fa ho sviluppato qualche considerazione circa l’importanza che il Ministro francese dell’educazione, Vincent Peillon, sta dando all’educazione nella prima infanzia, ritenendo che  la lutte contre les inégalités commence dans les crèches. È ora la volta della sua collega irlandese, Frances Fitzgerald, Minister for Children and Youth Affairs. Secondo quanto può leggersi in un articolo di Kitty Holland, pubblicato oggi su The Irish Times, una commissione sarebbe stata incaricata di definire nuovi standard per l’attività dei nidi (creches) e  delle scuole montessoriane. Questo accenno alle scuole montessoriane mi ha fatto piacere, ma mi ha anche turbato. Com’è possibile, mi sono domandato, che l’eredità della Montessori faccia parte del repertorio delle soluzioni educative dappertutto (dall’Europa all’estremo Oriente), tranne che in Italia? Perché nel nostro paese la presenza di scuole che si  rifacciano alle indicazioni montessoriane è così esigua e, oltretutto, tutt’altro che omogenea quanto alle interpretazioni e alle pratiche? Certo, ci sono stati i difficili rapporti della Montessori col fascismo, ma dalla fine del regime sono passati ormai una settantina d’anni. Il fatto è che per la diffusione delle proposte montessoriane occorrono due condizioni che nessuno si è preoccupato di realizzare: un’attività di ricerca consistente e continuativa e un serio impegno per la preparazione professionale degli insegnanti. A ben vedere, si tratta delle stesse condizioni che sarebbero necessarie per qualificare qualsiasi scuola, che sia o non sia montessoriana.

Per l’educazione il 13% del Pil.

Secondo uno studio recentemente pubblicato dall’Unesco il paese che nel mondo dedica all’educazione la quota più alta (ben il 13%) del suo prodotto interno lordo è Cuba. A questo impegno corrisponde un indice particolarmente elevato di sviluppo educativo (IDE), il maggiore tra tutti i paesi dell’America latina e dei Caraibi, e maggiore anche di quello degli Stati Uniti. L’IDE (índice en el Desarrollo de la Educación) è un indicatore composto che consente una valutazione d’insieme della qualità del sistema d’istruzione, tenendo conto dell’attenzione rivolta alla prima infanzia, dei risultati che si conseguono nella scuola primaria, delle politiche per la gioventù, degli interventi rivolti alla popolazione adulta e del raggiungimento di un’effettiva uguaglianza tra i generi. Che dire? Non ci sono solo la Finlandia e la Corea.